LE CANZONI INDIE by MADEINCINO

QUELLO A CUI PENSI QUANDO ASCOLTI LE CANZONI INDIE



Dissolvenza in entrata

Che mi indica l'uscita

Quando metto in pausa il momento

In cui mi dici "shhh silenzio"

Perché non ti senti più



PLAY

Ti ho visto l'altro giorno

Nel buio più scuro in quello più profondo

Dai lo sai che la luce non ti ha mai donato

Nasconde ciò che ti ho perdonato

Non lo vedi solo tu



Abbassi il volume un'altra volta

Tanto cosa te ne importa

Se non ti senti più



Il punto è che quello che vuoi

si riduce sempre a questo mio pensarti

quando ascolti le canzoni indie

ti riconosci nei miei "quindi?"

proprio quando ti risvegli

proprio quando mi distendi

non mi riaddormento più.



Dai andiamo a cena al solito posto

Quello in cui fa caldo e diventi rosso

per ritrovare le mie guance bollenti

con su, le tue mani incoerenti

fa freddo, non toglierle più



OK, STOP

Fermiamoci appena in tempo

Per ricordarci che non c'è tempo

Oltre quello che stai cancellando

Nello spazio di questo momento

Se la magia è un destino o un tormento

Non la vedi solo tu



Non capisci che infondo

Quello che faccio

È non sentirmi più, ma



Il punto è che quello che vuoi

si riduce sempre a questo mio pensarti

quando ascolto le canzoni indie

dove ti riconosco nei miei "quindi?"

proprio quando ti risvegli

e con la bocca mi comprendi

non mi riaddormento più.



Dissolvenza in uscita

Che ti indica l'entrata

Non mi vedi solo tu.

NON DOVEVA FINIRE COSÌ! Storia di tutte le volte che avrei voluto cambiare finale.

 

C’è chi impara ad accettare ogni sfaccettatura della propria vita perché “tutto accade per un motivo”, c’è chi riesce a vedere del buono anche in quelle cose che “oddio proprio no”, chi riesce a trasformare in vittoria ogni “ mai una gioia”. Bene, c’è chi e chi no. IO. NO. Scusate ma dai ma che palle, deve finire sempre tutto allo stesso modo cioè in un modo che non sia il mio??? Io dello zen in queste occasioni me ne faccio ben poco, anzi.  Infondo quante volte vi è capitato di pensare “ma che cazzo di finale è! Cioè mi sembra ovvio che non sarebbe dovuto finire così, pronto??!”…Ok, nessuna? Davvero? Falsi come pochi. E siccome io invece sono vera più vera di quelli che dicono di essere veri al Grande Fratello e Uomini e Donne, ecco allora le 7 volte in assoluto in cui ho pensato “NON – DOVEVA – FINIRE –COSI’”.

1) TITANIC – JACK MUORE

 Ok, partirò proprio dall’ovvietà retorica più assoluta. Sono 20 anni che la gente non si fa una ragione del fatto per cui il povero Jack Dawson alla fine sia morto. Sono stati fatti studi scientifici di fisica avanzata su come sia matematicamente impossibile che una porta in legno pregiato non abbia potuto sostenere il peso di 2 corpi al posto di uno. Niente 2 paghi 1. Niente pacco convenienza. Grande pacco sul finale. Io sono stata la prima a versare lacrime su lacrime per l’ingiustizia subita. Cazzo se cent’anni fa ci fosse stato il riscaldamento globale di oggi ora non staremmo neanche qui a parlarne. NON DOVEVA ANDARE COSI’. O forse sì. Perché poi son cresciuta, ci ho riflettuto e ho concluso che alla fine quel film è quella morte. Nel senso, senza quella morte, non sarebbe esistito il concept di Jack che è “servito” a salvare Rose in tutti i modi in cui una persona può essere salvata. Perché magari se fosse andato tutto bene, 5 giorni dopo Rose avrebbe scoperto che l’odore delle ascelle di Jack non era dei migliori e a Jack sarebbe piaciuto magari più Cal che lei e quindi au revoir ma cherie e non ci sarebbe stata salvezza più per nessuno. Paradossalmente Titanic non parla di morte ma di vita. Il punto non è che Jack (insieme a 2 o 3 ma proprio 2 o 3 amichetti suoi) sia morto, ma che quella stessa morte ha potuto salvare Rose. Ok, è sopraggiunta un po’ di malinconia, un attimo che guardo fisso nel vuoto immaginando nella mia testa le prime note di My haert will go on. Ok, ok, ok. Mi sono ripresa. Andiamo avanti.

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4) DAWSON’S CREEK – JEN MUORE

Restiamo nel concept del decesso con la nostra piccola cara Jennifer Lindley. Ora, ammetto che per tutte le 6 stagioni di DC, di Jen me ne è fregato tendenzialmente q.b. Sono sempre stata più concentrata sulla ship Pacey-Joey e quindi, andati bene loro mi sono fatta andare bene tutto. Anche se anche se, anche lì avrei da ridire. Cioè, questa oca ingrata fino alla fine è riuscita a dire una roba tipo “ti amo Dawson tu sei la mia anima gemella ma è solo un amore puro ed etereo, ti amo Pacey perché tu sei il mio amore terreno quindi visto che saremo su questa terra almeno per un’altra sessantina d’anni scelgo te”. OHHH cogliona, non funziona così ragazza. Amore puro niente, o è amore o non è amore. Non stiamo a dare declinazioni che non esistono solo per creare alibi che coprano il fatto per cui non si sa cosa si vuole dalla vita!  E comunque sto rifacendo lo stesso errore, volevo parlare di Jen io. Ehhhh non è giusto NON DOVEVA FINIRE COSI’. Questa poverina alla fine è stata bistrattata per sei stagioni rinchiusa nella parte della quarta incomoda paffutella disagiata trasgressiva con dei tagli di capelli quasi sempre orribili e poi… quando finalmente è dimagrita e ha acquisito un bell’ hair style l’hanno fatta fuori? Per quanto abbia apprezzato il video strappalacrime da moribonda dedicato alla figlia, ho sempre avuto l’impressione che il personaggio di Jen avrebbe potuto dare tanto di più, anche viste le qualità artistiche della Williams. Ci avrebbero potuto fare un bellissimo spin off per esempio. Ma ahimè, le oche ingrate sono destinate ad avere sempre la meglio.  Cafone.

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3) PICCOLE DONNE – LAURIE SI METTE CON AMY E NON CON JO

Ho letto il libro? Ovviamente no. Ho visto il cartone? Certo che sì. Impegnandomi riesco ad essere prevedibile e mainstream come poche cose. Ma anche non impegnandomi. Ad ogni modo ho visto anche il film che ritengo una vera vera chicca per i ’90 lovers sofa addicted. A Natale poi top of the top. Ma concentriamoci: perché ci hanno propinato un pippone sul delicato tenero sentimento nascente fra Jo, la sorella March ovvia protagonista, e l’unico elemento maschile presente Laurie, per poi farlo passare in friendzone sul finale, facendolo addirittura accoppiare in maniera insignificante con la più piccola viziata bambina Amy? Non mi piace voglio dire no, come se Malgioglio si mettesse con Justin Bieber. Non mi pace, NON DOVEVA FINIRE COSI’.

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4) HARRY POTTER – HERMIONE CHE SI METTE CON RON E NON CON HARRY

Qui so già che scatenerò dei grandissimi wingardium leviosa da parte di tutti fan di prima linea ma non mi interessa (e no, anche questa volta non ho letto libri, non sono una purista, solo una babbana, viva i film blabla bla). Io Harry ce l’ho sempre visto con Hermione. A parte la nullezza delle sue altre morosette che per me ce, sono veramente 2 gatte morte inadeguate che neanche Marina La Rosa, ma poi, l’abbiamo tutti visto “Harry Potter e il prigioniero di Azkaban”? Dai erano tutti lì a fare i cicici, vacanzina temporale insieme, abbracini abbraccetti li conosco certi sguardi mascherine…per non parlare del ballo wowowo dell’ultima saga! Oh sentite a me questa amicizia uomo donna eterosessuale con ottimo potenziale sprecato non va giù, anche qui, NON DOVEVA FINIRE COSI’.

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5) TALENT E REALITY – QUANDO NON VINCE CHI DICO IO

Eh eh, qui ci ho buttato sangue e scene melodrammatiche di livello durante tutta la mia adolescenza. Niente, quando punto su un cavallo quel cavallo deve vincere, e anche nitrire. Perché come nitrisce lui nessuno mai. Mengoni arrivato terzo dopo Scanu e Pupo-Filiberto-Tenore. Meglio non parlarne. Filippo Bisciglia arrivato secondo al Grande fratello (menomale Maria che l’hai salvato poi tu con Temptation Island QUANTE NE SAI). Giuseppe e Sara che non arrivano alla finale di Operazione Trionfo. Chi se li ricorda conquista il mio cuore. Antonella Elia che pur strappando extenscion viene fatta fuori dall’Isola dei famosi.  Ma insomma in che mondo viviamo? Quanti NON DOVEVA FINIRE COSI’ ho dovuto ingoiare. Dannazione. Quando si tratta dei miei cavalli l’importante è vincere, non partecipare. Soprattutto perché vincendo ti assicuravi puntate e puntate di Buona Domenica da Maurizio Costanzo.

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6) LE SPICE GIRLS SI SCIOLGONO

Come il mio cuore. Ma non tanto per la musica, le canzoni, le scarpe con la zeppa di 10 cm ci slogavano le caviglie, le figurine, i chupa chups, i nickname, i concerti, le penne con la loro faccia, i vestiti neri di Gucci di Victoria, i ballettini…ma quanto perché a causa di quello scioglimento non ci è mai potuto essere uno “SPICE GIRLS – IL FILM 2”. NON DOVEVA FINIRE COSI’.

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7) LA MIA VITA

Arriviamo alla fase vittimista della questione: il NON DOVEVA FINIRE COSI’ sperimentato sulla mia pellaccia: parrucchieri che mi sbagliano le tinture dei capelli rovinandoli per sempre, debiti scolastici ingiusti, colloqui andati male, quando non sono dimagrita, quando mi son piaciti tipi ed era chiaramente palese che avremmo dovuto stare insieme e procreare l’essere perfetto e invece ciaone, l’intolleranza al lattosio per me che sono pugliese, il terremoto a Ferrara proprio quando ero riuscita a comprare la prima fila in un concerto di Mengoni (aridaje) che m’avrebbe permesso di guardarlo negli occhi per fargli capire che eravamo fatti l’uno per l’altra (il destino chiaramente è l’unico dettaglio che si oppone a questa unione), quando babbo natale non esiste, quando tonio cartonio si droga ecce cc ecc.

Ci sono molte cose che nella mia vita nucleica e orbitale non sono finite come avrei voluto. Ma come dicono le zie Malgy e Mina,  quello che conta non è tanto il come ma che alla fine, l’importante è che si finisca.

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p.s non vi è piaciuto il finale dello sproloquio? Potreste scriverci un articolo.

Lovely written by MadeinCino

PER LEI E PER NESSUN’ALTRO – Mamme e autismo.

“Voglio bene alla mia mamma perché mi piace quando andiamo alle feste e mi vergogno perché ci sono tante persone e allora abbraccio le sue gambe e non mi vergogno più”.

Ho trovato questa frase su un bigliettino di auguri, uno di quelli che facevano preparare a scuola come regalo per la Festa della Mamma. Avrò potuto avere sette anni ma ricordo ancora benissimo il momento in cui lo preparai. Accanto a quella frase c’era un disegno di mia madre con i capelli neri e il rossetto rosso, e io accanto a lei mentre le tenevo la mano. Ricordo anche che poi, dopo averlo portato a casa, “rubai” una boccetta di profumo, una di quelle che non avrei dovuto assolutamente toccare, per versarne 2 gocce sul bigliettino. In quel modo mia madre avrebbe potuto sapere che quel pensiero fosse stato preparato per lei e per nessun’altro.

Non ho figli né esperienze a me vicine di autismo però sono sempre stata chimicamente colpita da questo mondo che non considero diverso ma alternativo. C’è però un angolo emotivo in questa alternatività che non è ancora abbastanza sdoganato, quello di un genitore, e in questo giorno particolare, quello di una madre. Si parla sempre troppo poco della frustrazione che un genitore possa provare nel sentirsi impotente d’innanzi a quello che inizialmente si può considerare un deficit senza cure ma che poi si capirà essere solo un mondo parallelo che non va curato ma compreso.

Comprensione che però non cancellerà mai l’umano dolore nel sentirsi consapevoli del donare amore all’essere più importante della propria vita che però non potrà mai restituire lo stesso amore secondo i canonici gesti d’affetto (emozioni condensate in gesti o parole). I soggetti autistici infatti non riescono a codificare i sentimenti e a restituirli indietro…o comunque lo fanno solo a loro modo. Un genitore di un figlio autistico deve entrare nell’ordine di idee per cui non potrebbe mai ricevere un abbraccio o un “ti voglio bene”, o un “auguri mamma”. Che non potrebbe ricevere mai quel concetto di “per lei e per nessun’altro” che si nascondeva dentro quel bigliettino d’auguri profumato.

Ho pensato così di dar voce e forma, attraverso un testo senza musica, proprio a quel bigliettino e di donarlo a tutte le madri che non potranno mai riceverlo.

È per voi, e per nessun’altro.   

 

 “LA VITA REALE”

 

Ho perso tempo a cercare di insegnarti a dare un nome al mondo

Ma avrei solo dovuto dare un nome al tuo sguardo

Che diventa il solo mondo che ha senso per me

 

Non ti piace che il sole cambi posizione

In un cielo immobile come la tua mano assente sulla mia

Che cerco poi di avvicinare alle nuvole

Ma ti spaventa la loro fantasia

 

Mi manca l’abbraccio cha avevo immaginato ancor prima che tu fossi con me

Mi manca l’idea che tu hai di me…

 

Quando mi guardi la vita diventa reale

E allora mi chiedo come si faccia

ad accettare una vita le cui parole

non assomiglino neanche in parte

a quelle che non mi racconti tu

a quelle che non mi racconto più

Io sono qui, sono qui, sono qui, sono qui, sono qui, sono qui.  Guardami.

Io sono qui, guardami.

 

Ti leggo una fiaba prima di addormentarti,

per svegliare il tuo bisogno di ascoltarmi

e sono io che non ascolto più te

 

I tuoi pensieri così scuri e trasparenti

Creano un ponte con una vita che non ti riconosce

E vorrei inventare per te un’esistenza

All’altezza della tua diversità

 

Mi mancano le rincorse verso di me quando trono a casa   

Mi manca la mia presa dopo una tua caduta…

 

Rit.

Quando mi guardi la vita diventa reale

E allora mi chiedo come si faccia

ad accettare una vita le cui parole

non assomiglino neanche in parte

a quelle che non mi racconti tu

a quelle che non mi racconto più

Io sono qui, sono qui, sono qui, sono qui, sono qui, sono qui.  Guardami.

Io sono qui, guardami.

 

E non posso curare ciò che si può solo comprendere

Perciò ti prego guardami

E diventa reale con me.

  

 Lovely written by Madeincino

 

LE 5 TURBE DELL’ANZIANO MILANESE DOC (#AMD) CHE TI MANDERANNO AL MANICOMIO PRIMA CHE CI ARRIVI LUI

L’oscuro background da terrona, che mi schedula come un bastoncino Findus nel reparto surgelati di un discount, mi ha da sempre abituata a trend senili provenienti dal mondo agèe che si son limitati a tre circuiti narrativi settoriali ben precisi:

  • “Mangia – Mangia – Mangia – Mangia – Mangia – Mangia – Ti vedo sciupata – Mangia – Portami rispetto – Mangia – Mangia – Perché mi fai questo, non vedi che mi fai del male – Mangia”, ogni qual volta si incontra un anziano con cui si condivide un grado di parentela che vada dal settimo grado in giù.
  • “Quando ti sposi? Tieni questi 10 euro e conservali nel reggiseno perché ti serviranno per comprare il corredo bianco ricamato in pizzo del matrimonio”.
  • La bava lasciata sulla guancia quando da bambino ti danno baci non richiesti.

Mai e dico mai avrei pensato che potesse esistere tutto un altro universo parallelo, sia dispensatore di orticarie anzianogene totalmente inesplorate, sia fornitore di una nuova subcultura da porre sotto attento esame: L’ANZIANO MILANESE DOC #AMD

Stringiamoci allora assieme attorno ai 5 sbatti che questo prototipo antropologico ci propina di continuo:

1) L’OCCUPAZIONE DEL LUOGO PUBBLICO

I supermercati, le poste, i luoghi pubblici di pubblico servizio. Ecco, ora, in una città che brilla per stacanovismo cronico e aperture cicliche H 24, perché mai, mi chiedo, un pensionato con tempo libero iniettato in vena, debba per forza occupare peggio di un sessantottino a Woodstock, Esselunga e affini proprio nelle ore di punta??! Perché proprio quando noi poveri giovani precari abbiamo l’unica possibilità temporale di andarci a comprare un pacco convenienza di spinacine? Già sappiamo che mangeremo pollo impanato con verdure in polvere per una settimana, allora perché farci subire anche le 12 ore di coda in cassa? Perché farci passare il tempo che ci separa dalla nostra di pensione (metaforica) in piedi dietro un bonsai in coppola indeciso fra l’acquisto dell’olio 31 e quello di un gratta e vinci (che probabilmente sarà vincente e gli permetterà di comprare anche un’altra confezione di olio 31)?

 

 

 

2) IL TRONO AD HONOREM DA MEZZO DI TRASPORTO

Ora, io capisco i reumatismi, la sciatica, l’artrosi, le vene varicose, i piedi gonfi. Passerò oltre al fatto che certo, queste calamità discensionali fisiche le ho ha già anche io in fase under 30, il che sicuramente peggiorerà il mio stato quando sarò un over 60 e non avrò in più neanche una pensione che mi permetta di acquistare un bastone treppiedi che si rispetti. Io vado oltre, vado oltre. Salgo sul mezzo dopo una giornata di lavoro, faccio di tutto per insinuarmi come una gazzella nell’unico posto libero individuato già da quando la 90 è ancora a 500 metri di distanza (auto-procurandomi un mal di testa da sforzo oculare non indifferente), ma poi, siccome arriva lei, cara sciura made in sciuragram madre divina di un’etica morale che sono costretta a rispettare, sorrido, mi alzo e le cedo il posto. Ok, buona azione quotidiana fatta, coscienza più leggera, tutto bellissimo se non fosse che dopo una sola fermata lei si alza perché è già giunta a destinazione. E il posto è soffiato in tempo 0 dalla bambina delle big bubble di 4 anni, altro esponente di una categoria demoniaca di cui al momento non sento di voler parlare.

3) LO SLOW MOTION AD OSTACOLI

Marciapiede, ritardo, lavoro, ritardo, obiettivi, ritardo, produttività, coppia di anziani a braccetto che ti camminano davanti, la morte. A chi non è capitato di star camminando su un marciapiede e di non riuscire a rispettare il buon passo snello e dinamico che questa città merita perché ti si posizionano davanti anziani che, come un iceberg nell’oceano Atlantico, cercano di far affondare tutti gli obiettivi di fatturazione della giornata??! Con in più l’abile talento di piantarsi sempre nel mezzo occupando col loro diametro tutta la traiettoria centrale di scorrimento e lasciando liberi solo 5 cm a sinistra e 5 cm a destra. I più grandi sentori omicida che mi appartengono credo che abbiano iniziato a svilupparsi in questi momenti.

4) LA DIFFERENZIATA A PLACE TO BE

L’anziano milanese DOC conosce il manifesto futurista della differenziata meglio della Bibbia. Ogni passaggio, ogni frammento fa ormai parte di un sapere filosofico da tramandare di generazione in generazione. Non poche volte mi è capitato di sbagliare COLORE del sacchetto (perché sì, ogni spazzatura vanta un colore di riconoscimento) e di udire alle spalle, mentre gettavo i miei detriti negli appositi cassetti, una roca vocina ansiogena ed inquietante provenire dal quinto piano dell’interno B urlarmi contro cose tipo “signorina il daltonismo è una malattia che può essere curata non come la cataratta che ho io e che non ha più rimedio”. Il giorno dopo ho prenotato una vista dall’oculista. E subito dopo quella da uno psichiatra.

5) IL GPS È UNO STATO MENTALE

Milano si sa è una città piena di turisti, extracomunitari e terroni. Tutte e tre le categorie spesso incappano, nonostante cellulari super navigati, nello smarrimento momentaneo del senso d’orientamento. Quindi in questi casi le opzioni risolutive sono 2: o cercare il muschio e capire che si è a nord quindi in Bicocca oppure chiedere informazioni ai passanti. Io prediligo sempre l’opzione uno che mi permette di preservare la cara misantropia che mi è a cuore, ma i temerari braveheart che volessero optare per il confronto umano devono sapere che in qualunque posto, in qualunque attimo, per qualunque giovincello a cui si chiederà l’informazione, spunterà SEMPRE l’AMD di turno pronto a saperne SEMPRE più di te, più della NASA, più dell’ispettore Gadget e della Signora in Giallo messi insieme, più del più! Perché solo un anziano purista di Milano sa e può dare indicazioni a Milano. Se si cerca poi proprio un infopoint agevolatevi di grazia presso il cantiere più vicino.

 

Lovely written by MadeinCino

I 7 MODI DI FARE NONSENSE CHE LE INFLUENCER HANNO INTRODOTTO NEL GERGO SOCIAL DELLE INSTAGRAM STORIES PORTANDOCI A RIFLETTERE SU UNA SOLA UNICA GRANDE QUESTIONE: PERCHÉ???

Nonostante, ammettiamolo, in ognuno di noi sia sempre sul chi va là quella rugosa vocina da zio Calogero del 1915 pronta a sentenziare (con tanto di indice mobile puntato contro) che queste influencer siano solo dei fortunati esperimenti sociali senza arte né parte, io consiglierei per un attimo di soffermarsi su qualche benefit che ci stano apportando. Esempi? Per capire quali saranno i nuovi outfit di tendenza ci basta smanettare sui social e non più per forza dover aspettare il servizio di Studio Aperto sulla Prima della Scala. Oppure per capire cosa mangiare non dobbiamo per forza aspettare che il postino ci porti il volantino offerte Esselunga della settimana.

Ottimizzazione dei tempi e guadagno sulla produttività assicurati insomma. Ecco, tutto meraviglioso se solo le care tate però si attenessero a fotografare blazer e onigiri. E invece no, perché da quando Instagram ha introdotto la facoltà di parola h 24 tramite le Stories la situazione è nettamente degenerata. Parlo di quei modi di fare e atteggiamenti privi di alcun senso logico che ci propinano senza un domani e che ahimè stanno entrando di diritto nel costume sociale. Di cosa parlo? Sette punti salienti debellano ogni offuscamento:

1) IL SALUTO

Ora io capisco l’educazione, il garbo, il bon ton, ma scusate, un semplice “buongiorno” o “ciao” non bastano? Bisogna per forza urlare in falsetto “CIAO GUYYYYYYS”??!!! A parte che o dici “ciao ragazzi” o “hi guys”, perché questo mush-up linguistico dozzinale lo usi solo se sei Cristoforo Colombo appena sbarcato in America o ti chiami Garrison Rochelle.  Ma poi dai, uno non può svegliarsi la mattina in pieno disagio imbruttito, aprire i social e dover scontare un entusiasmo non richiesto. Anche meno girls.

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2) IL SALUTO PARTE 2 – L’AVVENTO DELLA GANG

Nel momento in cui il prototipo base di influencer non si trovi da sola ma in compagnia dell’agglomerato faunistico noto ai più come #thegang, il processo di saluto al mondo subisce uno scatto evolutivo. Sì, perché nonostante il gruppo sicuramente sia insieme da almeno tre ore, nel momento in cui si accende la lucina della IG Story tutti si risalutano fra di loro come se si fossero appena incontrati. Ed è così che l’influencer, dopo una più che onesta introduzione alla serata tipo “Dinnèèèèèr whìt the gààààààng” (gli accenti reinterpretati sono di vitale importanza nello slang parlato), inizia ad inquadrare uno ad uno tutti i gang-addicted chiedendo loro un “ciao amoroore”. È un brivido sulla schiena ogni volta.

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3) LA RIPRESA AEREA

Ecco, questa non l’ho proprio capita. Il riprendersi da tutte le angolature possibili restando zitte muovendo semplicemente il viso a nord-sud-ovest-est stile carro allegorico durante la parata di carnevale. Con in sottofondo magari anche una canzone post-romantica di nicchia underground per far capire “ehi quante ne so”. Ok, ma parla però! Ce ad un certo punto devi pur dir qualcosa cara mia perché altrimenti il risultato è tipo ultima scena da soap opera quando sul più bello il Romualdo di turno guarda fisso in telecamera in totale suspense e poi parte la sigla di chiusura. Nel senso, ma quindi???

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4) IL BOOMERANG

Ohhhh ok, qui arriviamo per quanto mi riguarda al vero punto dolente della situa. Avete presente quando durante un incubo non riuscite a svegliarvi? Beh con il boomerang da influencer più o meno la questione è la stessa. A volte incappo anche in tre storie di seguito con questo loop continuo ed estenuante di bocca a culo di gallina – sorriso mentandent – bocca a culo di gallina – sorriso mentandent – bocca a culo di gallina – sorriso mentandent – cioè forse non ho ancora reso l’idea perché: bocca a culo di gallina – sorriso mentandent –  bocca a culo di gallina – sorriso mentandent –  bocca a culo di gallina – sorriso mentandent – e non so se ho spiegato bene che bocca a culo di gallina – sorriso mentandent.

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5) NO FILTER

Anche qui c’è un leggero paradosso. È ovvio che il mondo social tenda a filtrare quella che è la vita reale di una persona, e la cosa non deve essere per forza vista come accezione negativa, anzi il bello è proprio questo: giocare col virtuale adattandolo alla realtà. Quindi: ma perché ogni volta invece bisogna vantarsi di questo NO FILTER come se fosse un valore aggiunto dico io. Fate le influencer? Volete essere delle icone da imitare? E allora truccatevi e basta, e aggiungete anche i filtri santa pazienza, perché se volessi dalla vita un no filter basterebbe farmi un giro in qualche strada provinciale o guardare le facce della gente che partecipa all’Isola dei Famosi. Rendetevi utili per favore.

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6) L’ASCENSORE

Nessuna terrazza favolosa, nessun club ultima tendenza, nessuna cascina radical-chic può superare, nella densità di scelta location, l’unico, il grande, il favolosolimmnenso ascensore. Se con interni grigio metallizzato ancor meglio. Sinceramente ancora non ho capito da dove provenga l’oscuro successo di questa meravigliosa patnership social e perché lì dentro i saluti, le riprese aereee, i boomeragng o i no filter vengano partoriti con una resa migliore. Quello che però so di certo è che non è affatto un caso che la gente in procinto di acquistare appartamenti al piano terra, appena scopre di avere nel palazzo un ascensore senza specchio, si tiri inspiegabilmente subito indietro.

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7) IL CIBO

Benissimo, concludiamo con il mistero dei misteri. Ovviamente le IG stories sono piene di influencer pronte a riprendere banchetti esclusivi, piatti favolosi, avocado trionfanti, sculture di sushi, colazioni iperboliche che neanche Audrey Hepburn in colazione da Tiffany, ok, si però queste comunque restano sempre magre sempre perfette. Ora, che a nessuno passi neanche per la ma mente la poveracciata del “io mangio quello che voglio ma non ingrasso mai” perché già vedo gli avatar del metabolismo di tutti quanti alzarsi e togliere il disturbo con sguardo impietosito. E allora il pensiero che tutta quella apoteosi culinaria venga usata senza rispetto solo per dei video accompagnati da dei sonori “yummyyyyyyy” (anche qui se non trascini le vocali sei out), mi fa stringere il cuore. Quanto meno fino alla prossima story boomerang dove a questo punto al sorriso mentadent si aggiungerà ad incastro una favolosa foglia di insalata no filter e il “tutto e bene quel che finisce bene” potrà finalmente trovare compimento.

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Lovely written by Madeincino

“DUETS – TUTTI CANTANO CRISTINA” IL NUOVO ALBUM DI CRISTINA D’AVENA IN 16 GIF E 16 CIT.

Diciamo che io sono una che in generale vede dietrologie dappertutto. Che ne so, una pianta muore non perché non le ho dato da bere ma perché mi sta lanciando un segnale divino di aridità esistenziale, oppure lo smalto mi si rovina perché il mio karma non ce la fa più ad essere ricoperto da maschere laccate di falsità…insomma sono incline a tutte queste robe da finta hippy shabby chic piegata alla schizofrenia. Però non posso, dopo aver ascoltato il disco trend del momento “Duets – Tutti cantano Cristina”, non arrivare alla conclusione per cui le canzoni per bambini celino testi magnifici capaci di dire con parole semplicissime (e talvolta imbarazzanti) concetti che rasentano trattati di filosofia.

E allora prendiamoci per mano, stringiamo i nostri cuori ed avventuriamoci in questo pimpante tour fra gif e citazioni della nostra infanzia! Yuhuhuhu! Yuppy! Hiphiphip hurr…ok basta così, iniziamo.

  •  Pollon, Pollon combinaguai (feat. J-Ax) 

Vabbè qui ovviamente ci piace vincere facile per via di palesi assonanze fra i cliché di questo cartone e quelli di J-Ax, ma il risultato è ugualmente ben riuscito grazie a questo sound reggeggiante scazzo mood che ci catapulta dritti sull’Olimpo, magari d’estate, a ballare il sirtaki da ubriachi. Bella rima, La consiglio per il prossimo remake del pezzo.

“Ora il potere più divino è avere fantasia, se lo mangio lo respiri, ti dà subito allegria!” – Cit.

  • Nanà Supergirl (feat. Giusy Ferreri) 

Allora ammetto che Nanà mi manca causa una vintage ma comunque giovane e fresca età che mi appartiene, però mi sembra ovvio che questa canzone possa diventare benissimo sigla icona degli emarginati genealogici. Un’atmosfera quasi da lullaby natalizia con tanto di campanellini simulati dagli acuti strozzati della Ferreri ci abbraccia in questo karma protettivo ricordandoci che anche se non sappiamo chi siamo (esempio Joey Potter) possiamo comunque diventare dei super-eroi che aiutano gli altri a capire chi sono. Oppure degli psichiatri che va bene uguale.    

“Dal nulla arriva Nanà, e lei passato non ha”. – Cit.

  • L’incantevole Creamy (feat. Francesca Michielin) 

 Ed ecco qui che arriva uno degli argomenti cult che piace tanto ai creativi giapponesi: il bipolarismo. Io credo che una buona metà della produzione di manga e cartoni japan giochi sullo sdoppiamento di personalità, non a caso una buona metà della popolazione che gira intorni ai 30 ora è in cura da uno psicologo per motivi affini. In questo caso mi soffermerei sulla domanda che la protagonista (quanto meno una delle due) si pone sulla possibilità che la propria famiglia non sia accorga di avere una figlia al posto di due. Plauso alla Michielin la cui voce aulicizza ogni cosa.      

“Ma chi lo sa se babbo, mamma e Toshio, lo san anche Yu son proprio io”. – Cit.

  •  Occhi di gatto (feat. Loredana Bertè) 

 Anche qui si gioca sulla doppia vita ma questa volta con la volontà di sottolineare l’abile capacità di una donna nel passare dagli occhi dolci allo schiacciarti sotto un tacco a spillo (con prudenza ovvio). Qui il range strutturale del brano resta abbastanza aderente all’originale con una sferzata in tulle ed extanscion blu che porta il nome di Loredana Bertè.

 “Senza forza né violenza, poiché fanno sempre tutto con prudenza, sono pronte a rubare solo cose assai rare”. – Cit.

  • Kiss me Licia (feat. Baby K) 

 Questa versione di Kiss Me Lucia da acqua gym sulle spiagge di Milano Marittima non mi fa impazzire ma capisco anche che questo preciso mood frizzantino sia perfetto per addomesticare il leit-motiv del triangolo amoroso che impaiettizza l’intera serie. Coerente.   

“Ma pure Satomi che è un buon amico del biondo ed atletico Mirko si è già innamorato di Licia ma ancora non sa che anche Mirko le è”. – Cit.

  • Magica, magica Emi (feat. Arisa) 

 E siamo al W il bipolarismo capitolo 3! Questa volta però, sicuramente anche grazie alla sempre sognante aura di Arisa, tutto assume una tonalità più magica, per l’appunto. Il desiderio di ogni bambina “normale” di rifugiarsi in un alter-ego vincente che la protegga da ogni male è insito in ognuna ed ognuno di noi. Anche in quelli che hanno sempre e solo guardato Pingu. Bello l’adattamento jive, Milly mi sembra dovuta una coreo con questa versione in Ballando con le stelle.     

“La vita è una magia tra sogno e realtà, e con la fantasia più bella diverrà, e Mei di fantasia ne ha molta in verità, per Emi la magia non è sogno ma realtà!” – Cit.

 

  •  Mila e Shiro due cuori nella pallavolo (feat. Annalisa) 

 Questo intro molto street anni ’90 alla Principe di Bel Air introduce un concetto unico ed universale: ma Shiro chi corbezzolandia (per non usare parolacce in fascia protetta) è? Scusate ma compare nel cartone forse in 2 puntate al massimo. Che se ne restasse al suo posto, cioè:

 “Là tra il pubblico, lei sa, Shiro se ne sta”. – Cit.

  • Jem (feat. Emma) 

 Beh questa calza a perfezione su Emma. Anche se pensandoci, dato il ritmo da cuore matto, anche il compianto Little Tony qui avrebbe potuto darci dentro alla grande. Rock&Roll di livello. 

“Sono un tipo esuberante canto canto qui per voi, sei bellissima e rampante non fermarti mai” – Cit.

  • I puffi sanno (feat. Michele Bravi)

Qualche “EH!” dei Lumineers insieme ai “puffaffero” io ce l’avrei messo fra una cavalcata folk ed un’altra. Anche Michele Bravi vestito da puffo mentre canta me ce lo vedo molto bene. 

“Puffaffero” – Cit.

 

  • Siamo fatti così (feat. Elio) 

 Magistrale il contributo quasi tenorile di Elio in contrapposizione al mielange di Cristina. Come una carie in un dente bianco appena lucidato diciamo. E diciamo anche che solo grazie a questo cartone la maggior parte di noi sa che il cuore si trova a sinistra e non a destra o che c’è ossigeno nel sangue o che anche dentro di noi, fra il fegato ed il pancreas, si consumano ménage sentimentali. Posso dire solo grazie. 

“Siamo proprio fatti così, questo nostro corpo è meglio di un computer vedrai”. – Cit.

  • E’ quasi magia, Johnny! (feat. La Rua) 

Ecco avevo parlato troppo presto. A garantirci gli “EH!” sono arrivati i La Rua, grazie La Rua, gentilissimi. Però da segnalare è che in questo caso, a parte la quota folk si presenta anche quella pop-dance anni ’90 un po’ 883 un po’ Fiorello al karaoke. E questo tocco di trash è apprezzatissimo ai fini della valorizzazione della figura del protagonista, eterno sfigato sempre ad un passo dalla meraviglia.

“Johnny è quasi magia, Johnny riprova di nuovo, Johnny io provo e riprovo ma non ci riesco proprio mai”. – Cit.

  • Che campioni Holly e Benji (feat. Benji & Fede) 

No scusate ma qui si sarà pure centrata una porta ma non si è riuscito a centrare il nocciolo che avrebbe dovuto dare anima e corpo al tutto: la sospensione eterna. Io avrei messo molta più suspense limbica nel sound proprio ad omaggiare i momenti topici in cui prima di calciare una caspita di palla si rimaneva in freeze per una puntata intera. Sono in disappunto.

“Sanno giocare, voglion sfondare”. – Cit.

  •  Sailor Moon (feat. Chiara)

Vabbè qui inutile nascondere che questa canzone l’avrebbe potuta pure cantare Leone di Lernia ed il mio valore affettivo l’avrebbe comunque conservata come una madonnina sull’altarino. Un power-pop aggressive aggiunge cazzimma all’Eroina con la E maiuscola di sempre. Nata con il costante sentore di appartenere a qualcosa di ignoto e di non attualmente reale e forzata ad adempiere alla responsabilità di tenere quel “non so cosa” nascosto. Io la amo.

“Sailor Moon hai la luna in te, principessa di un regno che non sai dov’è”.  – Cit.

  •  Piccoli problemi di cuore (feat. Ermal Meta) 

 Beh beh beh, gioellino. Dai questa è un gioiellino d’alta classe. Che se solo i foto romanzi avessero avuto anche il contenuto sonoro ce l’avrei piazzata subito. L’eleganza di Ermal Meta trasuda in tutti i 4.17 minuti di audio ed è tutto perfetto, dalla scelta degli arrangiamenti, alla misura vocale, alla simbiosi fra i due interpreti. Non avrei potuto chiedere di meglio per il mio secondo cartone animato preferito di sempre. Cuori. Senza piccoli problemi.   

“Perché dei giorni tu sei distante più che mai, poi mi prendi per mano e ancora te ne vai, perciò mi chiedo e richiedo se c’è un posticino nel tuo cuore per me”. – Cit.

 

 

  •  All’arrembaggio! (feat. Alessio Bernabei)

 No no, non mi va. Perché è un cartone questo? C’è da commentare? No grazie, non mi interessa, anzi approfitto per “Mi scusi concierge un kebab completo senza cipolla e piccante grazie che ho fame”.  

“   ” – Cit.

  • Una spada per Lady Oscar (feat. Noemi) 

E ora mi soffermo infine su un pezzo che merita uno spazio tutto suo. Allora inizio dicendo che trovo veramente stupefacente l’interpretazione vocale di Noemi che in questo pezzo ci mette lo stesso peso specifico emotivo che c’avrebbe potuto mettere, che ne so, ne La Cura di Battiato. Quindi sicuramente sarà stato anche grazie al suo veicolo epidermico che questa canzone mi è arrivata veramente dritta al cuore. Ci ho pianto almeno 15 volte, giuro. Scorgo un bellissimo omaggio – voluto o non voluto non mi interessa – al mondo LGBT tanto che veramente la farei diventare la sigla del gay pride questa. Ma il punto è un altro. Ascoltare in particolar modo il ritornello (che cito sotto) ha ridisegnato nella mia mente la bambina che sono stata. Mi è tornata in mente esattamente quella principessina viziata piena di sogni e fantasia che sapeva costruire il mondo con lo stelo di un fiore e che si emozionava per ogni cosa, ogni cosa che le accadeva. Mi è presa una botta di nostalgia mista a tenerezza verso quell’esserino che ogni giorno che passa mi dimentico di esser stata e che non mi perdono di aver lasciato andare via. Questa canzone anche per un solo secondo l’ha fatto, l’ha fatta tornare da me. Ed è stato me ra vi glio so. 

Io trovo che il bello di questo progetto infondo sia questo: rimarginare un ponte fra quello che si è e quello che si era dando la possibilità a quello che si era di venirci a trovare per ricordarci che non tutto va lasciato andare via. Quindi grazie Cristina, che sicuramente anche per buisness eh, ma sicuramente anche perché sei tenera, ci hai rimesso in mano una fotografia che credevamo di aver perso, per poterla poi finalmente attraversare. 

“Lady Oscar tu combatti con destrezza e non ti arrendi mai, Lady Oscar nella mischia la tua spada brilla più una medaglia…Lady Oscar Lady Oscar nell’azzurro dei tuoi occhi c’è l’arcobaleno, Lady Oscar Lady Oscar chi lo sa se un giorno poi tu l’attraverserai…dovrai riuscire sai a non cambiare non cambiare mai.” – Cit.

 

 

Lovely written by MadeinCino

COLDPLAY, MILANO 04/07/2017 – Quello che è successo prima, quello che è successo dopo.

THE MOMENT BEFORE

Ho cambiato 5 posizioni nel tentativo di trovare quella adeguata a partorire la giusta ispirazione. Pancia in giù sul letto, gambe in aria, spalla destra contro al muro, seduta per terra, riproduzione casuale. Credo che quest’ultima vada bene. Ho in cuffia una playlist Best of Coldplay Live che ho trovato su YouTube, mi sto sentendo male.

Quindi ce l’ho fatta? Ce l’ho fatta veramente ad essere nel momento “pre”? Quello in cui si inizia a metabolizzare per la prima volta che manca poco, che sarò presto protagonista di uno dei momenti che aspettavo da sempre. E’ solo un concerto, cerco di ripetermelo di continuo, perché voglio dire, l’età del far diventare un live di 2 ore un evento da fuochi d’artificio l’ho già superata. E poi sono i Coldplay, dai negli ultimi anni sono diventati troppo amati per essere amati da una che ama solo quello che non ama nessuno. Sto ancora tentando di convincermi che queste minchiate siano vere, si. La verità è che ho paura che passi troppo in fretta o che sia troppo occupata ad avere paura per lasciare che le aspettative di una vita possano essere confermate e liberate. E abbandonate per sempre. Oddio sembro scema vera nel dire “aspettative di una vita”, ma l’ho detto veramente? Di un concerto? Si? Ok sì. Vi spiego. Rewind, riavvolgiamo il nastro, ok no l’università no, il liceo per carità del signor, le medie ci siamo quasi…estate. Era estate, non so potevo avere 13, 14 anni non importa. Come spesso accadeva i miei avevano preso casa al mare con i miei zii ed io passavo felicemente le vacanze con mia cugina. Un pomeriggio, dopo aver passato la mattinata al mare (oddio non c’entra niente ma in questo momento sta arrivando un bellissimo venticello leggero dalla finestra e sto ascoltando The Scientist mentre sto scrivendo questa cosa…sensazione molto bella, amo il vento, ok scusate); quindi era un pomeriggio post mare, io e mia cugina ci buttiamo sul letto in camera obiettivo pennichella. Era il periodo in cui iniziavano a spuntare i primi iPod del paleolitico, io ancora non ne avevo uno ma lei sì. Allora mi chiede se mi fosse andato di ascoltare qualche canzone con lei, una cuffietta per ciascuno. A quei tempi il mio rapporto con la musica era totalmente inconsapevole, avete presente quando c’è qualcosa nella vostra vita che vi è sempre accanto e che però, proprio perché è sempre lì, non riuscite a valorizzare? Faccio un esempio che gli esempi aiutano sempre. Tipo quando avete mangiato da sempre pasta, poi andate in…boh, Venezuela, e lì pasta non ce n’è. Ed è solo allora che vi rendete conto di quanto la pasta vi piaccia.  Ecco, in quel periodo della mia vita io ero nella fase pre Venezuela. La musica era lì, ma non era lì. Bene, mia cugina mi passa una cuffietta ed iniziamo ad ascoltare Yellow, The Scienist, Clocks ed infine Don’t Panic. Beh io non la ringrazierò mai abbastanza. Mai. Non so come e perché sia successo, ma in quel momento, in quel pomeriggio estivo io ho pensato per la prima volta con consapevolezza: “ehi, è bellissimo”. Era bellissimo stare lì, con lei, proprio lì e proprio in quell’istante. Era bello stare sul letto con i capelli che profumavano ancora di mare ad ascoltare musica, quella musica, i Coldplay. Quel giorno imparai 2 grandissime lezioni di vita: la prima, la magia del “qui ed ora”, così rara e difficile da incontrare per gente disagiata come me, ma proprio per questo così spettacolare quando arriva; la seconda, l’importanza vitale che avrebbe avuto da quell’istante in poi per me la musica. Come mi facesse sentire bene, così bene dio santo. Così adatta a me ed io così adatta a lei, così perfetta.

Sono passati quei quindici anni da quel giorno, per varie vicissitudini della vita non sono mai riuscita ad andare ad un concerto dei Coldplay. E io sono una di quei soggetti che si auto convince di non esser destinata alle cose, soprattutto a quelle che desidera e che cerca di ottenere invano. Quindi mi ero convinta che non fosse destino che potessi ascoltarli dal vivo. Invece ora sono qui, nel famoso “pre”. Oddio manca ancora qualche giorno quindi corna e cornacce varie (destino per favore per favore non mi fare questo), però…pare proprio che a ‘sto giro il momento sia arrivato per davvero. Spero di aver resto l’idea del perché parlassi addirittura di “aspettative di una vita”. Il punto è che io glielo dovevo, a quel momento di quindici anni fa io dovevo un ringraziamento. E non vedo l’ora di esser lì, in quel primo anello rosso che mi è costato una fortuna, il 4 luglio, a dare indietro, emozionandomi, tutto quello che quell’estate mi ha regalato, il mio destino.

 

THE MOMENT AFTER

Ecco, io ora lo vorrei scrivere un bell’articoletto tecnico su scaletta, show, stecche, diatribe “erano meglio i Coldpaly degli esordi vs meglio i Coldplay pop”, però, veramente, onestamente, non ho voglia dai. Quindi parlerò di qualcosa che mi interessa molto di più: tutti avevano il braccialetto colorato che si illuminava ed il mio NO!!!!! Oh ma mi state prendendo in giro? Ma daiiiii, capisco che brillo già di luce mia ma posso essere l’unica sfigata che fa da lampadina rotta del filo di lucine dell’albero di Natale di Chris? Ok la risposta è sì, non ci dilunghiamo inutilmente. Stronzi. Ed insensibili. Dicevo…no non dicevo niente. È che uffa cosa devo dire, o meglio, se dico poi attacco pipponi esistenziali che nessuno ha voglia di ascoltare. Ed è per questo che si, ora ce lo attacco eccome lo spiegone!

Allora, mi oppongo nettamente a “Yellow” e “The Scientist” fatte ad inizio concerto. Ma scusate ma datemi il tempo di ambientarmi caspita, ce mi fate l’antipasto bomba quando non sono ancora calda, non va bene. Super wow l’opera di syncro luci-suoni-colori-energia, sicuramente il vero punto forte dello spettacolo. Chris sempre super carico e/o tenero cuore e va bene. Ma io ho un problema di fondo – oddio sono come quelli che dicono al fidanzato “il problema sono io non sei tu”, adoro! – che è quello per cui immagino troppo bene le cose. Ora, erano quindici anni che io svisceravo in ogni possibile sfumatura questo momento, e quando ti capita che poi quel momento si realizza, due sono le possibili conseguenze: o resti delusa per le troppe aspettative o confermi quello che avevi immaginato. Ovviamente nessuna delusione. Ma le conferme ci sono state. Il che è una cosa positiva ok, però è come se io avessi già vissuto quel momento dentro di me perdendomi l’effetto di sorpresa decostruttiva, l’effetto “wow”. Ieri sera ho vissuto fuori da me quello che già avevo esperito dentro, per tantissimi anni. Era tutto già successo e sono arrivata lì già sazia. Come quando ti piace uno da un sacco di tempo ma niente, e tu nel frattempo immagini come sarebbe stato, ma poi all’improvviso, dopo anni e anni, lui finalmente ce la fa a venirti incontro però…sì cavoli, è tutto già successo. E quella è solo la consacrazione di qualcosa che esiste ancora ma solo in un varco della tua vita che non corrisponde più a quello che è ora. Una “fine” meravigliosa in ogni caso. Lasciare andare le cose che si aspettano, questo mi han detto ieri Chris & co.

Poi ovvio che oltre il lato melò appena narrato ci sono altri dettagli nevrotici compromettenti che mi appartengono tipo che non sono reattiva e che devo vivere una cosa 1000 volte prima di metabolizzarla, che l’attesa del piacere è il piacere stesso, che, LO RIPETO, il mio braccialetto non funzionava…però no dai è stata una figata ieri. Non riesco ad avere un sentimento lineare, sono pazza, non ce la faccio.

(Il racconto finisce così amen, non ci sono frasi moralistiche, commoventi e risolutive mi dispiace. Scusate eh, ma se cercate una soluzione da me siete messi male, fatevi una vita, o meglio, fatevi un concerto dei Coldplay ❤).

 

 

Lovely written by Madeincino

Manifesto delle piccole cose che servono per vivere con giuoia la settimana senza pensare: “Ma quando cazzo arriva il weekend”??? (***TUTTA BECERA RETORICA***)

Qualche giorno fa un mio amico mi raccontava di come si era reso conto di affrontare ogni settimana sempre in prerogativa del weekend. Nel senso, tipo svegliarsi il lunedì e non vedere l’ora che sia già venerdì. Usare ogni giorno feriale come mezzo per arrivare ad un fine festivo. Ed è vero, insomma chi è che non ha mai postato almeno una volta una foto deprimente con hashtag #mondaymerda ed una super carica yeah spacco il mondo #finallyfriday … siamo tutti cronicamente abituati ad affrontare la vita come sacrificio per arrivare ad un premio: andiamo a scuola per imparare (ahahah), lavoriamo per essere ricchi (ahahah), ci mettiamo a dieta per essere magri (ahahah), ci sposiamo per…cioè perché…no perché ci sposiamo non mi è ancora del tutto chiaro. BTW, il punto è che in tutto questo marasma dell’affaticarsi per ottenere qualcosa, spesso ci perdiamo quel bistrattato lasso di tempo chiamato MENTRE. 

Infondo, se pensiamo che 5 giorni su 7 li passiamo sperando che scorrano via in fretta, significa allora che buttiamo via un sacco di vita…oh 5 giorni su 7 son tanti, ora non mi addentrerò in giochi di statistica dato che non son capace ma 2 conti me li son fatta. Ahimè, dato che non sono né iddio né Maria De Filippi, una soluzione a questo problemino qui non ce l’ho. Però cerco di rendere questo benedetto mentre più appetibile trasformando le piccole cose in grandi eventi. Essendo che, logicamente, le botte di adrenalina per vincita al superenalotto o innamoramento del principe azzurro capitano molto sporadicamente, allora credo che il rimedio a questo punto sia dare valore ai dettagli. Rendere i particolari una grande esperienza esistenziale.    

Ecco allora le 20 piccole cose che trasformano i miei giorni routinari in momenti che mi emozionano tantissimo e pure di più:

  1. Aprire il freezer e avvicinarci il viso perché mi ricorda di quando da piccola aprivo il banco dei gelati per prenderne uno, durante i camping estivi in pineta. Non c’è mai più estate di quel ricordo.
  2. Il vento che mi arriva addosso mentre aspetto la metro. Mi fa sempre sempre libera.
  3. Ascoltare la musica durante un concerto fuori dalla sala concerti. L’eco del suono che arriva in punta di piedi fa sempre un sacco di magia.
  4. Sentire il profumo dell’aria prima che piova.
  5. Fare la pipì dopo averla trattenuta un sacco.
  6. Prudersi un pizzico di zanzara.
  7. Il verso delle rondini ad inizio primavera, durante il tramonto. Mi ricorda sempre da dove vengo.
  8. Toccare il wasabi!
  9. Alzare la testa e restare incantata a guardare il cielo stellato d’estate mentre sono a mangiar fuori da qualche parte. Con il rumore delle stoviglie e  della gente che parla intorno.
  10. Il quarto d’ora di sole che prendo a fine pranzo nel giardinetto dell’ufficio.
  11. Pensare a cosa mangiare per cena.
  12. Guardare negli occhi ed essere guardata negli occhi, per caso, senza dire niente, per pochi secondi.
  13. Il senso di pace e vittoria che guadagno il sabato mattina dopo aver fatto cerette e pulizie domestiche in sole 2 ore e mezzo.
  14. L’odore di mandarino sulle mani a Natale.
  15. Leggere gli aforismi filosofici ed applicarli alla mia vita.
  16. Attorcigliarmi i capelli intorno alle dita facendo pensare che ce sto a provà ed invece sto solo cercando di capire quante doppie punte ho.
  17. Diventare piccola quando qualcuno (da cui voglio essere abbracciata) mi abbraccia.
  18. Guardare programmi di cucina. o Netflix, o programmi della De Filippi, o RealTime (eccecc…) in tv la sera. Mi fa sentire al sicuro, non so.
  19. Salvarmi nuove canzoni su Spotify e il giorno dopo ascoltarle in loop prima di andare a lavoro.
  20. Buttarmi inerme sul letto, in penombra con la finestra aperta, di pomeriggio dopo una doccia di acqua dolce post mattinata salata al mare. E stare lì ascoltare il battito del cuore.
  21. Immaginare, prima di addormentarmi.

 

 

Lovely written by Madeincino

Tredici.

Ci ho messo tre settimane per decidere se scrivere o meno di quello che sembra essere una delle neflixate più in voga del momento. Un po’ perché, per l’appunto ne parlano tutti, ed io purtroppo soffro della rara malattia dello svalutare tutto quello che viene considerato di comune interesse, come se qualcosa che riesca a coinvolgere “i più” non possa automaticamente poi emozionare una persona come me. Perché sono una sfigata, e mi piace esserlo, così, per sentirmi un po’ speciale. Poi perché insomma, riuscire a dire la propria su argomenti di un certo peso specifico in modo misurato ma passionale, senza risultare però mattone sui coglioni diventa un lavoretto da vero professionista quale non sono. Perché sono solo una sfigata,  ripeto, di classe ma sfigata. Ma motivo dei motivi, ora, senza girarci troppo intorno è che CHE ANSIA. Ho visto Tredici, o meglio Thirteen Reason Why  in tre giorni e poi mi ci è voluta una settimana per riprendermi. Forse. In effetti non è che abbia capito se proprio mi sia ripresa o se potrò mai riprendermi nella vita ma ok, questo è un discorso a parte, un problema alla volta. Dio quanto sono prolissa, concentriamoci Madincino cara concentriamoci (si parlo anche con me stessa). Dicevo…

Tredici, totalmente in modo inaspettato ed incontrollato, mi ha toccata, aggredita, imprigionata e risvegliata. E mi sembrava doveroso, nel rispetto di ciò che è stato risvegliato, dedicargli, per la prima volta in maniera plateale e pubblica, ciò che penso ma che credevo di aver scordato di pensare. E invece no, penso e sento ancora tutto, più di prima. Quindi bel respirone e via.

Il bullismo. Ricordo che durante i compiti in classe d’italiano mi capitava a volte di ricevere come traccia tipo “Parla del bullismo”, e ricordo sempre di aver reagito sbuffando a temi del genere. Perché li vedevo lontani in quanto collegabili sempre a macro sfere sociali per me astratte tipo “sono nera, sono grassa, sono storpia, sono frocio e i miei compagni di classe mi menano”.  Badate bene, questo è bullismo, e merita ogni tipo di attenzione. Ma quello che intendo dire è che quando hai quattordici anni e vivi in un paese di provincia ovattato dalle convenzioni, tendi ad omologare ogni tipo di catastrofe emotiva solo con quei macro fatti, che appunto senti lontani, o almeno li sentivo lontani io quell’epoca.

Sinceramente mi capita tuttora di percepire una tendenza a legittimare il concetto del bullismo solo se associato a fatti di grande clamore. Ecco, io ho amato profondamente questa serie perché ha finalmente dato luce a tutti quei dettagli di seconda mano che considero ugualmente gravi.

L’adolescenza è la porzione di vita forse più borderline di tutte, non per tutti certo, ma per coloro che sviluppano una sensibilità più acuta del normale in anticipo sui tempi, insomma si, lo è. Si entra in una sorta di dinamica per la quale tutto quello che accade viene sempre visto come irreversibile e annientante senza margini di ritorno. Non si sono sviluppate ancora tutte le valvole di accesso al concetto di possibilità di un futuro in divenire. Non so, come se si entrasse in un labirinto che si crede senza uscite, e l’unica libertà che si intravede è quella che c’è in alto, quando alzi la testa. Alto che però è anche troppo alto per te.

cassetta

Ho sentito in giro parecchi pareri del tipo “melodrammi da ragazzini, ma dai tutto troppo esagerato, solo un film”. Bene, credo che questo non riconoscimento dei problemi come tali sia il leit motiv di tutto, di Tredici nel particolare, della vita in generale.

Ragazzi, è ovvio che se hai 40 anni e qualcuno ti dice “sei un fallito”, hai già maturato abbastanza chiavi di lettura per fare di quel giudizio quello che vuoi, ma a quell’età, quando tutto è in fase di decostruzione e ricostruzione, e il tuo ventaglio di esperienza nella vita è ridotto logicamente a 3 cose, una frase del genere può provocare un dolore massacrante. Se già ti senti strano perché ti accorgi di come tutti i tuoi coetanei riescano naturalmente ad attraversare quel labirinto, e tu no, se ti senti solo e non capito perché ad un certo punto cominci a credere che allora il problema sia tuo, e che sei tu lo sbaglio, quel “sei un fallito” spiattellato anche magari da chi ha molte più chiavi di lettura della tua, beh è un atto di bullismo. Anche quello è atto di bullismo.

Viviamo in una società in cui è tutto sempre normale. È l’epoca del “far finta di niente” pur di non ritrovarsi di fronte ai propri fantasmi, pur di non far mezzo passo fuori dai margini d’equilibrio di una sana e convenzionale buona condotta che permette di arrivare a cent’anni senza troppi sballottamenti. E allora se una ragazzina si sveglia ogni giorno piangendo perché è costretta a sopportare un’intera giornata, o si dispera “solo” perché un professore al liceo le dice che è destinata a nascondersi per sempre perché non parla mai, o sente addosso le risa dei propri compagni di classe quando durante la ricreazione resta sola seduta al proprio banco con lo sguardo perso nel nulla pensando che nessuno mai la guarderà come solo lei sa guardarsi, forse perché quello che guarda allora non esiste; se una ragazzina è fatta così allora è solo capricciosa, o viziata, o esagerata.

L’indifferenza signori, l’indifferenza uccide. L’indifferenza è bullismo.

L’indifferenza di una famiglia che fa finta di non vedere e non supporta fino infondo per paura di ammettere che c’è un problema. Quella di un sistema scolastico sempre più superficiale e pregno di dinamiche che esulano dal coltivare il concetto di empatia che dovrebbe essere alla base di questi luoghi di formazione di esseri umani, non cognomi, non numeri, di esseri umani cazzo. E poi tutte le altre persone che fanno parte della vita di qualcuno con quel tipo di sensibilità dovrebbero smetterla di posizionarsi sempre sulla linea di confine che gli permette di avvicinarsi ma non troppo per paura di essere coinvolti più del dovuto fuoriuscendo così dai margini emotivi che si erano prefissati. Osare, rischiare, parlare, dimostrare, sentirsi, viversi, sempre, sempre. Perché ogni esposizione emotiva può diventare letteralmente salvifica per chi non sente più niente.

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A me non interessa, in Tredici, di tutta la questione legata alle nuove tecnologie che stanno rovinando le nuove generazioni (alibi, i problemi ci sono sempre stati), o se l’intento sia stato solo quello di creare un trand, o di com’è la regia, la recitazione o altro. Mi interessa che questa serie abbia sviscerato in modo puro e aderente, e senza fronzoli o paraculate, il punto di vista di una ragazzina di 17 anni che si sente vuota. Mi interessa che finalmente un punto di vista che è stato da sempre bistrattato o sempre segregato ai margini di qualcosa di più importante, sia diventato protagonista.

Hanna Baker è la protagonista che tutti i diciassettenni invisibili di oggi, del passato, o del futuro meritavano di avere, o di essere. Per poi arrivare così all’ultimo angolo del labirinto, alzare la testa, percepire il vento che arriva sul viso ed infine, sentirsi liberi.

 

Lovely written by Madeincino

 

 

I 5 SBATTI DA CITTÀ PER UNA RAGAZZA DI PERIFERIA EVOLUTA IN IMBRUTTITA CRONICA

C’aveva visto lungo la buona Anna Tatangelo nel dire che le ragazze di periferia non se la passano mai alla grande. Povere, povere anime indifese vittime sacrificali di un destino che le ha sempre dipinte come l’anello di plastica delle patatine in busta, schiacciato in un mondo di sbrillocchi puro diamante.

Ma come la nostra Lady Tata insegna, se la specie umana di “ragazza di periferia”, subisce un’evoluzione antropomorfa, uno switch metafisico, un’arrampicata sociale e geografica, si tramuta allora in una temibile creatura che fa del FASTIDIO a prescindere, un’arma contundente di ottundimento delle masse.

Ho cercato così di raccogliere i 5 sbattimenti che un’imbruttita acquisita incontra durante la nuova vita da metropoli.

QUANDO TI SABOTANO LO STALKERAGGIO SOCIAL SUI MEZZI

Location: tram. Momento: ogni momento è buono. Tu sei lì, che approfitti dei 10 minuti di nullafacenza che una giornata di operatività imbruttita ti concede, per dedicarti all’unico hobby di senso compiuto che ormai la società contemporanea ci offre: lo stalkeraggio social. Niente è lasciato al caso, ogni tocco touch è sincronizzato temporalmente, la sequenza di gesti è stata studiata a perfezione davanti allo specchio per giorni interi. Tutto affinché la sacra missione del riuscire a farsi i cazzi altrui in totale anonimato giunga anche questa volta a degno compimento. Ma poi, aiuto, succede quello che, oddio aiuto aiuto, mai mai mai dovrebbe accadere. Il pilota di Formula 1 che è alla guida del potente mezzo decide, per rompere la routine, di dare un colpo d’anca stile lambada a destra. Ed è lì, che quel troglodita da tram,  quello lì che è così tenero da lasciar il proprio posto all’anzianità, e così purista da non voler acchiapparsi a nulla pur di restare illibato da germi, ti si butta addosso dandoti una gomitata sul gomito che ti fa slittare il pollice dalla posizione schermo sud del cellulare anche detta “posizione a rischio zero” alla posizione schermo centro-sinistra anche detta posizione “hai messo il like su una foto del 1912 della persona che stavi stalkerando”. Quindi ragazzi per favore: IN PIEDI SENZA AGGRAPPARVI IN TRAM SOLO SE SIETE GLI EQUILIBRISTI DI PUNTA DEL CIRCO ORFEI GRAZIE!

QUANDO LA GENTE NON SA CAMMINARE E DARSI UN SENSO NEL MONDO

Allora, mi dico, ma se vivi in una città come Milano, sono le 9 di mattina e sei un burattino nelle mani dell’operatività imbruttita che aleggia nell’aria insieme allo smog, puoi ma puoi camminare come se fossi in promenade nelle valli de “La casa nella prateria” ??? Loro sono lì che con questa noschalance si muovono a rallenty a destra e sinistra, a sinistra e poi destra senza neanche darti la possibilità di sorpasso ignorante. Non so, ci esibiamo in un alligalli visto che ci siamo? Il ballo del pinguino? Sirtakino digestivo? No way.

QUANDO PER FORZA CIAO, CIAO PROPRIO, CIAONE

Odio salutare, veramente. Ce questa roba che devi andare in un posto e partecipare ad una sorta di giro dei sepolcri nel salutare per convenzione sociale ogni elemento del circondario proprio non la reggo. Che poi magari, cioè sicuramente, non hai niente da dire, però non ho capito perché in questa società l’arte del saluto a priori anche a chi “ma chi se ne frega” deve esser considerato un atto di educazione ed addebito di rispetto. Ma quando mai.  E poi mi soffermerei su due sottospecie di saluto forzato. Il saluto forzato con bacetto ed il doppio saluto forzato. 1) Ma a proposito di rispetto, ma un po’ di salvaguardia per le povere genti asociali che non amano il contatto fisico ce la vogliamo mettere? Ma perché io debbo per forza sfiorare le epidermidi sudate di qualcun’ altro? Perché tutta questa cattiveria? 2) Ma se in un momento di gentilezza ed estrema bontà mi sono piegata alla trafila del primo saluto all’entrata, perché poi bisogna salutare per forza anche all’uscita? Ma chi le ha create queste regole di buona condotta? Effetto boomerang solo su Instagram dai.

QUANDO MA LA VUOI ABBASSARE QUELLA VOCE QUANDO PARLI AL TELEFONO?!

Poi esistono quelle creature deliziose che, non cogliendo la bellezza di un momento di pace in cui non si ha da far niente e si potrebbe far niente, in un luogo comunemente condiviso tipo treno devono per forza darsi un senso stando al telefono. E fin qui potrei anche tollerare, se non fosse però che questo stare al cellulare debba esser riprodotto in mondovisione. Come se dovesse importare a tutti che Rodriga si metta lo smalto solo una volta a settimana o che Katrina dica che i calzini bianchi, nonostante siano comunemente schifati da tutti, abbiano il loro perché. Che poi in realtà, oddio, a me queste cose potrebbero anche interessare ma almeno apriamo un dialogo, interagiamo cribbio. Voglio dire, se proprio mi devi imporre la storia della tua vita almeno fammi dire che si è vero, i calzini bianchi wow!

QUANDO IL FASTIDIO VERSO CHI PROVA FASTIDIO

Ecco. Ora, chiunque tu sia ad aver appena letto i 4 punti precedenti, non potrai mai ritenerti una vera/o imbruttita/o acquisita/o se non hai provato fastidio nel leggere tutte queste lamentele sul fastidio. Perché non c’è niente che infastidisce tanto quanto chi ha troppo da dire. Perché ma al posto di sentenziare fatti una vita.  Perché basta questa plebaglia che deve per forza lamentarsi di continuo insultando tutti e tutto credendo di risultare simpatica. Perchè? Ah. Ah. Ah. No.

 

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